venerdì 21 settembre 2007

Chi parla male dell'azienda può essere licenziato

Una sentenza della Corte di cassazione ha previsto la possibilità per il datore di lavoro di licenziare un proprio lavoratore che denigra l'immagine dell'azienda.

Il caso oggetto della sentenza riguarda un'infermiera che era stata licenziata dall'azienda per aver rivolto frasi offensive infondate nei confronti sia dell'azienda, rea di utilizzare prodotti non sterilizzati e medicinali scaduti, sia dei colleghi, colpevoli di incapacità professionale.

La dipendente, impugnato il licenziamento, si è vista dar ragione dai giudici sia di primo sia di secondo grado, i quali, avendo ritenuto generiche e non gravi le offese proferite dalla donna, hanno dichiarato l'illegittimità del provvedimento aziendale e la conseguente reintegrazione al proprio posto di lavoro.

L'azienda ha proposto infine ricorso alla Corte di cassazione, la quale, con sentenza n. 19232 del 14 settembre 2007, ha annullato con rinvio a un altro giudice la decisione, stabilendo i principi-guida ai quali il giudice del rinvio dovrà attenersi.

Quando ad un lavoratore vengono contestati più fatti, spiegano i giudici della Suprema Corte, questi non devono essere considerati separatamente, bensì congiuntamente, per poter verificare che il comportamento tenuto nel suo complesso dal lavoratore non sia tale da minare la fiducia del datore di lavoro; quest'ultima non è sempre uguale, ma può essere più o meno intensa a seconda della natura e della qualità del singolo rapporto di lavoro, della posizione delle parti, dell'oggetto delle mansioni e del grado di affidamento che queste richiedono.

Insomma, ai fini del licenziamento va analizzato il comportamento complessivo del lavoratore e messo in relazione al tipo di lavoro, alla posizione ricoperta e all'importanza del settore in cui lo stesso opera.

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