mercoledì 29 novembre 2006

La deducibilità delle spese di trasferta del professionista

Il reddito di lavoro dei professionisti è costituito dalla differenza tra l'ammontare dei compensi percepiti nel periodo d'imposta e quello delle spese sostenute nello stesso periodo. Tra i compensi vanno annoverati anche i rimborsi spese (per vitto e alloggio) che il committente corrisponde al professionista in occasione delle trasferte effettuate da quest'ultimo.

Facciamo un esempio. Un consulente del lavoro di Milano va a Torino per un convegno organizzato dalla società X in qualità di relatore. La sera arriva a Torino e pernotta in albergo; la mattina e il pomeriggio successivi partecipa al convegno e la sera, di ritorno verso Milano, cena in un ristorante. Il professionista, che ha pagato sia l'albergo sia il ristorante, una volta rientrato a Milano fattura alla società X (committente) l'importo della prestazione professionale resa e quello delle spese sostenute. Per il consulente del lavoro il rimborso spese costituisce reddito.

Le spese di trasferta sostenute dal professionista sono deducibili: non interamente, ma nel limite del 2% dell'ammontare dei compensi percepiti nel periodo d'imposta (art. 54, comma 5, del Tuir). Il legislatore tributario è stato obbligato a porre questa limitazione per evitare che il professionista portasse in deduzione costi personali difficilmente distinguibili da quelli sostenuti per la produzione del proprio reddito.

Esiste però un caso in cui la deduzione è totale. Il recente decreto Bersani (Dl 223/06) ha infatti previsto, all'art. 36, comma 29, l'integrale deducibilità delle spese di trasferta nel caso in cui esse siano sostenute dal committente per conto del professionista e da questi inserite nella fattura. In altre parole, se i costi di vitto e alloggio vengono pagati dal committente e il professionista inserisce tali costi all'interno della fattura destinata al committente, viene riconosciuta al professionista l'intera deducibilità delle spese di trasferta.

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