martedì 13 febbraio 2007

L'utilizzo diverso dell'anticipazione sul Tfr non comporta il licenziamento

L'art. 2120 c.c. stabilisce che un lavoratore con almeno otto anni di servizio presso la stessa azienda può chiedere un'anticipazione fino al 70% sul trattamento di fine rapporto maturato alla data della richiesta (comma 6).

Ogni anno l'azienda può soddisfare un numero di richieste entro i limiti del 10% degli aventi titolo e in ogni caso del 4% del numero totale dei dipendenti in forza (comma 7).

L’anticipazione può essere richiesta per spese sanitarie per terapie e interventi straordinari, per l'acquisto (o la ristrutturazione, equiparata dalla giurisprudenza all'acquisto) della prima casa di abitazione per sé o per i figli (comma 8) oppure per spese da sostenere durante i periodi di fruizione del congedo parentale (art. 5 del Dlgs 151/01).

Che cosa succederebbe se un lavoratore facesse richiesta di anticipazione del Tfr per la ristrutturazione della casa di proprietà e, una volta ottenuta, usasse la somma per altri scopi? L'azienda sarebbe legittimata a licenziare il lavoratore?

Il 29 gennaio 2007 la Sezione lavoro della Corte di cassazione ha emesso una sentenza (n. 1827) con la quale ha invalidato il licenziamento effettuato da un istituto di credito nei confronti di una lavoratrice a cui l'istituto aveva assegnato due somme di denaro per la ristrutturazione della casa di proprietà (una a titolo di anticipazione sul Tfr e l'altra a titolo di mutuo) perchè la donna aveva poi utilizzato il denaro per finalità estranee a quanto stabilito.

Secondo i giudici della Suprema Corte la donna è stata sì inadempiente, ma l'uso diverso che ha fatto dei soldi ottenuti non si può considerare inadempimento degli obblighi contrattuali, dal momento che i fatti contestati non riguardano doveri nascenti dal contratto di lavoro, ma attengono ad un distinto rapporto contrattuale. La mancata corrispondenza tra l'utilizzo delle somme e il motivo per il quale le erogazioni sono state concesse può al limite configurarsi come incrinatura del rapporto di fiducia tra datore e lavoratore, e come tale non sufficiente a giustificare il provvedimento del licenziamento.

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