La portabilità delle forme di previdenza complementare
La portabilità è la possibilità che ha il lavoratore iscritto ad una forma di previdenza complementare di trasferire la propria posizione individuale da una forma ad un'altra.
La riforma della previdenza complementare (Dlgs 252/05) prevede che il tempo minimo di adesione ad una forma pensionistica complementare sia di 2 anni (prima erano 5 anni), trascorso il quale l'iscritto può trasferire il montante accumulato presso un'altra forma; questo limite minimo di permanenza è stabilito per garantire alla forma previdenziale complementare una certa stabilità finanziaria.
Può accadere anche che un lavoratore iscritto ad una forma di previdenza complementare perda i requisiti di partecipazione alla stessa. Il caso tipico è quello del lavoratore dipendente che, cambiando lavoro, non può più partecipare a un fondo chiuso: in questo caso il lavoratore può passare dal vecchio fondo ad uno nuovo (relativo alla sua nuova attività) anche senza maturare il periodo minimo di permanenza, essendo sufficiente la perdita del requisito di partecipazione al fondo.
A parte questo caso, se un lavoratore iscritto ad una forma pensionistica complementare cessa il proprio rapporto di lavoro, potrà, in base all'art. 14, comma 2, del Dlgs 252/05:
- riscattare il 50% della posizione individuale maturata, se la cessazione comporta l'inoccupazione per un periodo di tempo compreso tra 12 e 48 mesi oppure se il datore di lavoro ricorre a procedure di mobilità o cassa integrazione guadagni ordinaria o straordinaria;
- riscattare il 100% della posizione individuale maturata, se la cessazione comporta l'inoccupazione per un periodo di tempo superiore a 48 mesi oppure se il lavoratore subisce un'invalidità permanente che comporta la riduzione della capacità di lavoro a meno di 1/3.
In caso di morte dell'iscritto, l'intera posizione individuale maturata viene riscattata dagli eredi o dai diversi beneficiari designati dal de cuius.
La riforma della previdenza complementare (Dlgs 252/05) prevede che il tempo minimo di adesione ad una forma pensionistica complementare sia di 2 anni (prima erano 5 anni), trascorso il quale l'iscritto può trasferire il montante accumulato presso un'altra forma; questo limite minimo di permanenza è stabilito per garantire alla forma previdenziale complementare una certa stabilità finanziaria.
Può accadere anche che un lavoratore iscritto ad una forma di previdenza complementare perda i requisiti di partecipazione alla stessa. Il caso tipico è quello del lavoratore dipendente che, cambiando lavoro, non può più partecipare a un fondo chiuso: in questo caso il lavoratore può passare dal vecchio fondo ad uno nuovo (relativo alla sua nuova attività) anche senza maturare il periodo minimo di permanenza, essendo sufficiente la perdita del requisito di partecipazione al fondo.
A parte questo caso, se un lavoratore iscritto ad una forma pensionistica complementare cessa il proprio rapporto di lavoro, potrà, in base all'art. 14, comma 2, del Dlgs 252/05:
- riscattare il 50% della posizione individuale maturata, se la cessazione comporta l'inoccupazione per un periodo di tempo compreso tra 12 e 48 mesi oppure se il datore di lavoro ricorre a procedure di mobilità o cassa integrazione guadagni ordinaria o straordinaria;
- riscattare il 100% della posizione individuale maturata, se la cessazione comporta l'inoccupazione per un periodo di tempo superiore a 48 mesi oppure se il lavoratore subisce un'invalidità permanente che comporta la riduzione della capacità di lavoro a meno di 1/3.
In caso di morte dell'iscritto, l'intera posizione individuale maturata viene riscattata dagli eredi o dai diversi beneficiari designati dal de cuius.
Nessun commento:
Posta un commento